Saturday, May 21, 2011

Il fast food

    - Ciao.
- Ciao -, disse Shatzy.
- Cosa prendete?
- Due cheeseburger e due succhi d’arancia.
- Patatine?
- No, grazie.
- Se prendete le patate costa uguale. 
- Non importa, grazie.
- Cheeseburger, drink e patate, è la combinazione n. 3 -, disse indicando una foto alle sue spalle.
- Bella foto, ma non ci piacciono le patate.
- Potete prendere un doppio cheeseburger, combinazione n. 5, non ci sono le patate e costa uguale.
- Uguale a cosa?
- A un cheeseburger e succo d’arancia.
- Un doppio cheeseburger costa come un cheeseburger singolo?
- Sì, se scegliete la combinazione n. 5.
- Incredibile.
- Combinazione n. 5?
- No. Vogliamo un solo cheeseburger. Uno a testa. Niente doppi cheeseburger.
- Come volete. Ma buttate via dei soldi.
- Non importa, grazie.
- Due cheeseburger e due succhi d’arancia, allora.
- Perfetto.
- Dessert?
- Vuoi la torta, Gould?
- Sì.
- Allora aggiungi una torta, grazie.
- Questa settimana per ogni dessert ordinato ce n’è un altro in regalo.
- Splendido.
- Cosa prendi?
- Niente, grazie.
- Ma devi prenderlo, è in regalo.
- Non mi piacciono i dessert, non li voglio.
- Ma io devo dartelo.
- In che senso?
- È l’offerta della settimana.
- L’ho capito.
- Quindi devo dartelo.
- Come sarebbe a dire devi darmelo, io non lo voglio, non mi piace, non voglio diventare grassa come Tina Tumer, non voglio infilarmi mutande XXL, cosa devo fare, aspettare la prossima settimana per mangiare un cheeseburger e basta?
- Puoi sempre non mangiarlo. Prendere il dessert in regalo e non mangiarlo.
- E cosa lo prendo a fare?
- Puoi buttarlo.
Buttarlo?, io non butto niente, buttalo tu, ecco, fai così, lo prendi e lo butti, okay?
- Non posso, mi licenzierebbero.
- Cristo...
- Sono molto severi, qui.
- Va bene, okay, lasciamo stare, dammi ‘sta torta.
- Sciroppo?
- Niente sciroppo.
- È gratis.
lo so che e gratis ma non lo voglio, okay?
- Come vuoi.
- Niente sciroppo.
- Panna?
- Panna?
- C’è la panna, se vuoi.
- Io non voglio nemmeno la torta, come diavolo fai a pensare che voglia la panna?
- Non so.
- Lo so io: niente panna.
- Neanche per il ragazzino?
- Neanche per il ragazzino.
- Va bene. Due cheeseburger, due succhi d’arancia, una torta senza niente. Questo è per voi -, aggiunse, allungando verso Shatzy due cose avviluppate in carta trasparente.
- Cosa diavolo è?
- Chewingum, è in regalo, dentro c’è una pallina di zucchero, se la pallina è rossa vinci altri dieci chewingum, se è blu vinci una combinazione n. 6, gratis. Se la pallina è bianca, te la mangi e finisce lì. Comunque il regolamento è stampato sulla carta.
- Scusa un attimo.
- Sì?
- Scusa, eh...
- Sì.
- Mettiamo che per assurdo io prenda questo cavolo di chewingum, no?
- Sì.
- Mettiamo ancora più per assurdo che io me lo stia a masticare per un quarto d’ora e poi ci trovi dentro una pallina blu.
- Sì
- Allora dovrei portartela, tutta insalivata, e posartela qui, e tu mi daresti una grassa, fritta e caldiccia combinazione n. 6?
- Gratis.
- E secondo te, quando me la mangerei?
- Subito, credo.
- Io voglio un cheeseburger e un succo d’arancia, l’hai capito questo? Non so cosa farmene di tre pezzi di pollo fritto più una patatina media più una pannocchia imburrata più una Coca media.  non so cosa diavolo farmene.
- Di solito li mangiano.
- Chi?, chi li mangia? Marlon Brando, Elvis Presley, King Kong?
- La gente.
- La gente?
- Sì, la gente.
- Senti, me lo fai un favore?
- Certo.
- Riprenditi ’sti chewingum.
- Non posso.
- Li tieni da parte per il prossimo obeso di passaggio, eh?
- Non posso, davvero.
- Cristo...
- Mi spiace.
- Ti spiace.
- Davvero.
- Dammi ’sti chewingum.
- Non sono male, sono al gusto papaia.
- Papaia?
- Il frutto esotico.
- Papaia.
- È la moda di quest’anno.
- Okay, okay.
- Basta così?
- Sì, tesoro, basta così.
Pagarono e andarono al tavolo. Appeso al soffitto c’era un monitor acceso sul canale FoodTV. Faceva delle domande. Se avevi la risposta giusta la scrivevi nell’apposito spazio sulla tovaglietta di carta e la consegnavi alla cassa. Vincevi una combinazione n. 2 In quel momento la domanda era: chi segnò il primo goal nella finale dei Campionati del Mondo I966?
I. Jeoffrey Hurst
2. Bobby Charlton
3. Helmut Haller
- Tre -, mormorò Gould.
- Non provarci nemmeno -, gli sibilò Shatzy, e aprì la confezione del cheeseburger. All’interno del coperchio le apparve una pecetta rosso fiammante. Sopra c’era scritto congratulazioni!!! hai vinto un altro hamburger! E più piccolo: Porta subito questo tagliando alla cassa, riceverai un hamburger gratis e un drink a metà prezzo! C’era anche un’altra frase, scritta di sbieco, ma Shatzy non la lesse. Richiuse con calma la confezione di plastica, lasciandoci il cheeseburger dentro.
- Andiamo -, disse.
- Ma non ho ancora nemmeno iniziato... -, disse Gould.
- Iniziamo un’altra volta.
Si alzarono, lasciando tutto lì, e andarono verso la porta. Li intercettò uno vestito da clown, solo che in testa aveva il cappellino del fast food.
- Un palloncino in omaggio, signora.
- Prendi il palloncino, Gould.
- Sul palloncino c’era scritto io mangio hamburger.
- Se lo attaccate alla porta di casa potete partecipare al concorso domeniburger.
- Attaccalo alla porta, Gould.
- Ogni domenica viene estratta una casa con il palloncino esposto e un camioncino provvede a scaricargli davanti alla porta 500 cheesebaconburger.
- Ricordati di liberare il vialetto davanti alla porta, Gould.
- C’è anche un congelatore da 300 litri in offerta speciale. Per conservare i cheesebaconburger.
- Si capisce.
- Se prende quello da 500 litri le regalano anche un microonde.
- Splendido.
- Se ce l’ha già può prendere un phon professionale a quattro velocità.
- Nel caso dovessi fare lo shampoo ai cheesebaconburger?
- Prego?
- O farmi lo shampoo col ketchup.
- Scusi?
- Dicono che dia lucentezza ai capelli.
- Cosa, il ketchup?
- Sì, non hai mai provato?
- No.
- Prova. Anche la salsa bearnese non è male.
- Sul serio?
- Toglie la forfora.
- La forfora non ce l’ho, grazie a dio.
- Ti verrà sicuramente se continui a mangiare salsa bearnese.
- Ma io non la mangio mai.
- Sì, ma ti ci lavi i capelli.
- Io?
- Certo, si vede dal phon.
- Quale phon?
- Quello che hai attaccato alla porta.
- Ma io non ce l’ho attaccato alla porta.
- Pensaci bene, ce l’hai messo quando ti è volato via il microonde a quattro velocità.
- Volato via da dove?
- Dal congelatore.
- Dal congelatore?
- Domenica, non ti ricordi?
- Scherzi?
- Ho la faccia di una che scherza?
- No.
- Risposta esatta. Lei ha vinto 500 litri di palloncini, le saranno consegnati in cheeseburger, ci vediamo, ciao.
- Non capisco.
- Non importa. Ci vediamo, eh?
- Il palloncino.
- Prendi il palloncino Gould.
- Lo vuoi rosso o blu?
- Il bambino è cieco.
- Oh, scusi.
- Non importa. Succede.
- Il palloncino lo prende lei?
- No, lo prende il bambino. È cieco, mica scemo.
- Glielo do rosso o blu?
- Non ce l’ha color vomito?
- No.
- Strano.
- Solo rossi o blu.
- Vada per il rosso.
- Ecco.
- Prendi il palloncino rosso, Gould.
- Ecco, tieni.
- Ringrazia, Gould.
- Grazie.
- Prego.
- Abbiamo altro da dirci?
- Scusi?
- Pare di no. Arrivederci.
- In bocca al lupo per domenica!
- Crepi.
Uscirono dal fast food. C’era un’aria fredda e tersa, da inverno pulito.
- Pianeta di merda -, disse piano Shatzy.
Gould se ne stava lì, in mezzo al marciapiedi, fermo, con in mano un palloncino rosso. Sopra c’era scritto io mangio hamburger.
- Ho fame -, disse.



da "City" di A. Baricco


(scusate, devo andare a fare shopping oggi e non c'ho voglia)

Sunday, May 15, 2011

La lezione del prof. Bandini sulla veranda

Gould aveva ritagliato l’annuncio e l’aveva appeso in mezzo agli altri, sul frigorifero. Era Shatzy, poi, che sceglieva. Prediligeva i cattolici e gli intellettuali: di solito si vergognavano di parlare di denaro. Il prof. Bandini era un intellettuale cattolico.
Così un giorno, mentre stava facendo lezione davanti a un centinaio di studenti, nell’aula ii, vide aprirsi la porta ed entrare quella ragazza.
- È lei il prof. Michael Bandini?
- Sì, perché?
Shatzy sventolò il ritaglio del giornale.
- È lei che vende una roulotte usata, modello Pagode, del ’7I, discrete condizioni, prezzo trattabile, no permuta?
Senza capire bene perché, il prof. Bandini si vergognò come se gli stessero riportando un ombrello dimenticato in un cinema porno.
- Sì, sono io.
- Si può vedere?, la roulotte, dico, si può vedere?
- Sto facendo lezione, signorina.
Shatzy sembrò accorgersi solo in quel momento degli studenti che riempivano l’aula.
- Oh.
- Le spiace tornare più tardi?
- Certo, mi scusi, posso aspettare un po’, magari mi siedo qua, le spiace?, capace che imparo anche qualcosa di buono.
- Prego.
- Grazie.
Il prof. Bandini pensò che il mondo era pieno di pazzi. Poi continuò da dove aveva interrotto.
- Di solito - disse - il porch, o “veranda”, è collocato sulla parete frontale della casa. È costituito da una tettoia di profondità variabile - ma di rado superiore ai quattro metri - che poggia su una serie di montanti e copre un assito la cui sopraelevazione rispetto al suolo oscilla generalmente tra i venti centimetri e il metro e mezzo. Una ringhiera e i necessari gradini di accesso ne completano il profilo. Da un punto vista puramente architettonico, il porch rappresenta uno sviluppo abbastanza elementare dell’idea classica di facciata, espressione di una povertà abbiente, e di un lusso rudimentale, primitivo. Da un punto di vista psicologico, se non morale, si tratta invece di un fenomeno che mi fa sbiellare e che risulta, a un’attenta analisi, commovente, ma anche ripugnante e, in definitiva, epifanico. Da epipháneia, greco: rivelazione.
Shatzy approvò con un leggero cenno del capo. Nel West, in effetti, quasi tutti avevano una veranda davanti a casa.
- L’anomalia del porch - continuò il prof. Bandini - è evidentemente quella di essere, al contempo, un luogo dentro e un luogo fuori. In certo modo, esso rappresenta una soglia prolungata, in cui la casa non è più, e tuttavia ancora non si è estinta nella minaccia del fuori. È una zona franca in cui l’idea di luogo protetto, che ogni casa sta lì a testimoniare e realizzare, si sporge oltre la propria definizione, e si ripropone, quasi indifesa, come per una postuma resistenza alle pretese dell’aperto. In questo senso esso sembrerebbe luogo debole per eccellenza, mondo in bilico, idea in esilio. E non è escluso che proprio questa sua identità debole concorra al suo fascino, essendo incline, l’uomo, ad amare i luoghi che sembrano incarnare la propria precarietà, il proprio essere creatura allo scoperto, e di confine.
In privato, il prof. Bandini riassumeva questo suo ragionamento con un’espressione che riteneva imprudente usare in pubblico, ma che considerava felicemente sintetica. “Gli uomini hanno case: ma sono verande”. Una volta aveva provato ad enunciarla alla moglie, e la moglie aveva riso fino a starne male. La cosa l’aveva piuttosto colpito. In seguito la moglie l’aveva lasciato per andare a vivere con una traduttrice di ventidue anni più vecchia di lei.
- È curioso, tuttavia - proseguì il prof. Bandini -, come questo statuto di “luogo debole” si dissolva non appena il porch cessa di essere inanimato oggetto architettonico e viene abitato dagli uomini. Su una veranda, l’uomo medio dimora spalle alla casa, seduto, e per lo più seduto su una sedia provvista di apposito meccanismo atto a farla dondolare. Talvolta, componendo il quadro nella sua più accecante esattezza, l’uomo tiene in grembo un fucile carico. Sempre, guarda davanti a sé. Se ora voi ritornate a quell’immagine di precarietà che era il porch inteso come semplice oggetto architettonico, e la arricchite della presenza di quell’uomo - spalle alla casa, basculante sulla sua sedia a dondolo, con un fucile carico in grembo - quell’immagine virerà sensibilmente verso un senso di forza, sicurezza, determinazione. Si potrebbe dire addirittura che quel porch cessa di essere un’eco fragile della casa a cui si appoggia, e diventa validazione finale di ciò che la casa appena accenna: sanzione definitiva del luogo protetto, soluzione del teorema che la casa si limitava ad enunciare.
A Shatzy piacque particolarmente il dettaglio del fucile carico.
- In definitiva - proseguì il prof. Bandini - quell’uomo e quel porch, insieme, costituiscono un’icona laica, eppure sacra, in cui si celebra il diritto dell’umano al possesso di un luogo suo proprio, sottratto all’indistinto essere del semplicemente esistente. Di più: quell’icona celebra la pretesa dell’umano a essere in grado di difendere quel luogo, con le armi di una metodica viltà (il basculare della sedia a dondolo) o di un attrezzato coraggio (il fucile carico). Tutta la condizione umana è riassunta in quell’immagine. Giacché esattamente questa appare la dislocazione destinale dell’uomo: essere di fronte al mondo, con alle spalle se stesso.
Era una cosa a cui il prof. Bandini credeva, al di là di qualsiasi necessità accademica - lui, semplicemente, credeva che le cose stessero esattamente così, lo credeva anche quando era in bagno. Lui pensava, davvero, che gli uomini stanno sulla veranda della propria vita (esuli quindi da se stessi) e che questo è l’unico modo possibile, per loro, di difendere la propria vita dal mondo, giacché se solo si azzardassero a rientrare in casa (e ad essere se stessi, dunque) immediatamente quella casa regredirebbe a fragile rifugio nel mare del nulla, destinata ad essere spazzata via dall’ondata dell’Aperto, e il rifugio si tramuterebbe in trappola mortale, ragione per cui la gente si affretta a riuscire sulla veranda (e dunque da se stessa), riprendendo posizione là dove solo le è dato di arrestare l’invasione del mondo, salvando quanto meno l’idea di una propria casa, pur nella rassegnazione di sapere, quella casa, inabitabile. Abbiamo case, ma siamo verande, pensava. Guardava gli uomini e nelle loro commoventi menzogne sentiva lo scricchiolio della sedia a dondolo sulle assi impolverate del porch; ed erano, per lui, buffi fucili carichi le impennate di orgoglio e di penosa autoaffermazione in cui vedeva, negli altri e in se stesso, occultare il verdetto di un esilio perenne. Era una faccenda tristissima, a ben pensarci, ma anche commovente perché, alla fine, il prof. Bandini sapeva di provare affetto per sé e per tutti gli altri, e compassione per tutte le verande da cui si vedeva circondato
c’era qualcosa di infinitamente dignitoso in quell’indugiare eterno davanti alla soglia di casa, un passo prima di se stessi
le notti
in cui si alza il vento feroce della verità, la mattina dopo sei costretto a riparare la tettoia delle tue menzogne, con pazienza inossidabile, ma quando il mio amore tornerà sarà di nuovo tutto a posto, guarderemo il tramonto insieme bevendo acqua colorata
o
quando qualcuno, sfinito, ti chiedeva di sederti davanti a lui e ti apriva la sua mente, tirando fuori tutto, davvero tutto, e perfino lì quello che capivi è che eravate seduti sulla sua veranda, ma in casa non ti aveva fatto entrare, in casa non ci entrava da anni, ormai, e questa era la paradossale ragione per cui era sfinito, lui, lì, davanti a te
                   quelle sere in cui l’aria è fredda e il mondo sembra essersi assentato, d’improvviso ti senti comico, lì, sulla veranda, a fare la guardia contro nessun nemico, ed è una stanchezza che ti morde, e l’umiliazione di sentirti così inutilmente ridicolo, alla fine ti alzi e rientri a casa, dopo anni di menzogne, di simulazioni, rientri a casa sapendo che magari nemmeno ti riuscirà di orientarti, là dentro, come se fosse la casa di un altro e invece era la tua, lo è ancora, apri la porta ed entri, curiosa felicità che non ricordavi, casa tua, dio che meraviglia, che grembo, questo tepore, la pace, me stesso, alla fine, non uscirò mai più da qui, poso il fucile nell’angolo e imparo di nuovo la forma degli oggetti e le figure dello spazio, mi riabituo alla geografia dimenticata della verità, imparerò a muovermi senza rompere niente, quando qualcuno busserà alla porta la aprirò, quando sarà estate spalancherò le finestre, sarò in questa casa fino a quando sarò, MA
MA se tu aspetti,
e da fuori guardi quella casa, potrà passare un’ora o una giornata intera, MA alla fine tu vedrai la porta aprirsi, senza sapere né poter capire, mai, cosa può essere successo là dentro, vedrai la porta aprirsi e lentamente quell’uomo, uscire, invisibilmente spinto fuori da qualcosa che non potrai mai sapere, MA certo deve avere a che fare con qualche vertiginosa paura, o incapacità, o condanna, tanto spietata da spingere quell’uomo fuori, sulla sua veranda, il fucile in mano, io adoro
io adoro quell’istante
- diceva il prof. Bandini - l’istante preciso in cui lui ancora fa un passo, con il fucile in mano, guarda il mondo davanti, sente l’aria pungente addosso, si alza il bavero della giacca, e poi - meraviglia - torna a sedersi sulla sua sedia e appoggiando la schiena la rimette in movimento, dondolio mite che si era addormentato, rassicurante rollio della menzogna, adesso culla la serenità di nuovo ritrovata, la pace dei vili, l’unica che ci spetti, passa la gente e saluta, Ehi Jack, dov’eri finito? Niente, niente, sono qua adesso, In gamba Jack, una mano accarezza il calcio del fucile, lui guarda lontano, stringendo un po’ gli occhi, quanta luce, mondo di quanta luce hai bisogno, a me bastava una fiamma da nulla, là dentro, quando?, non ricordo quando, MA era un posto a cui ho detto addio, e poi più niente, non ne parlerà mai più, per sempre a dondolare sulla sua veranda di legno e vernice
se ci pensi,
pensa le case vuote, a centinaia, dietro la faccia della gente, alle spalle di ogni veranda, migliaia di case perfettamente in ordine, e vuote, pensa l’aria, lì dentro, i colori, gli oggetti, la luce che cambia, tutto che accade per nessuno, luoghi orfani, loro che sarebbero I LUOGHI, gli unici veri, ma quella curiosa urbanistica del destino li ha immaginati come tarlature del mondo, incavi abbandonati sotto la superficie della coscienza, se ci pensi, che mistero, che ne è di loro, dei luoghi veri, del mio luogo vero, dove sono finito IO mentre ero qui a difendermi, non ti succede mai di chiedertelo?, chissà come sto, IO?, mentre sei lì a dondolare, a riparare pezzi di tetto, a lucidare il tuo fucile, a salutare quelli che passano, di colpo, ti viene in mente quella domanda, chissà come sto, IO?, vorrei sapere solo questo, come sto, IO? Qualcuno sa se sono buono, o vecchio, qualcuno sa se sono VIVO?
Shatzy si avvicinò alla cattedra. Gli studenti se ne stavano uscendo e il prof. Bandini era in piedi, che sistemava le sue cose nella cartella.
- Niente male la sua lezione.
- Grazie.
- Dico sul serio. C’era un sacco di roba interessante.
- La ringrazio.
- Sa cosa mi ha fatto venire in mente?
- No.
- Ecco, ho pensato, guarda te, quel professore ha maledettamente ragione, voglio dire, le cose vanno proprio così, gli uomini hanno delle case, ma in realtà sono delle verande, non so se mi spiego, hanno delle case, però loro sono...
- Come ha detto?
- Quando?
- Adesso, quella storia delle case.
- Non so, cosa ho detto?
- Ha detto quella frase.
- Quale frase?



da "City" di A. Baricco

Saturday, May 14, 2011

In Messico si può:

  • perdersi per Città del Messico in un taxi vecchio e puzzolente senza aria condizionata e in balia di un vecchio cieco e probabilmente anche ceco vista l'ignoranza totale delle strade della capitale
  • dimenticare in hotel il sombrero più bello del mondo, conquistato dopo una lunga e vittoriosa lotta rivoluzionaria per l'abbassamento del prezzo
  • avere la febbre del venerdì sera
  • venir rapiti da un tour turistico che ti porta a vedere scimmie addestrate fintamente affamate e orde di turisti che scimmiottano popolazioni indigene scalando piramidi abbandonate
  • rimanere con un lavandino intero in mano e rendersi conto di non poter chiedere aiuto perché si è nudi
  • rompere il palo della doccia dopo aver cambiato camera (visto che nell'altra non c'era più il lavandino)
  • ritrovarsi una mano sanguinante dopo il tuffo dalla barca e pensare "oh cacchio, adesso arrivano gli squali!"
  • farsi prendere dal panico in mare aperto e cercare di annegare la pamela anderson dei poveri
  • accusare federica pellegrini di tentato annegamento mentre si fa il morto...
  • non riuscire a ricordarsi come si chiamano le quesadillas nemmeno dopo averle mangiate a pranzo e cena per 15 giorni
  • stimare la propria compagna di viaggio perché la rottura del lavandino e il relativo cambio di stanza hanno portato ad avere ben 2 rotoli di carta igienica
  • gioire perché fare la domenica delle palme con le palme vere è bello come avere due rotoli di carta igienica in bagno
  • innamorarsi di un MARIACO
  • rendersi conto che la propria opinione vale come un rovo su per il culo
  • credere che correo sia una capitale europea
  • ordinare un tè alla manzanilla per scoprire che in realtà è camomilla
  • ordinare per la prima volta del cibo messicano convinti che sia pollo e ritrovarsi a mandar giù trippe
  • essere costretti a mangiare due gelati perché c'è il 2x1
  • constatare che in fondo va TODO BIEN e che i messicani... EPPURE SONO FELICI!

Frase del giorno - Cielito lindo

Perchè ci sono giorni in cui una canzone aiuta:

Ay, ay, ay, ay,
Canta y no llores,
Porque cantando se alegran,
Cielito lindo, los corazones.




http://youtu.be/tD3mr2d-khg